Dall’analisi delle modalità della ricostruzione post-bellica della città di Palermo e della gestione pubblica dei successivi piani e programmi regolativi emerge come i propositi normativi e urbanistici siano stati deformati nell’affrontare le grosse trasformazioni delle città italiane; fenomeno, questo, comune alle aree metropolitane del centro-sud Italia.
Alla fine del XIX secolo si crearono le condizioni per forti migrazioni interne ai sistemi territoriali, da monte a valle, dalle campagne alla città; la popolazione di Palermo passò da197.244 abitanti nel 1861 a 411.692 (di cui 118.673 nei quattro mandamenti), nel 1936, concentrata in larga parte nel centro (tra l’Oreto e piazza Politeama) il resto sparsa nelle numerose borgate della Conca d’Oro.
L’entrata dell’Italia in guerra nel 1940 portò la città a subire violenti bombardamenti per i successivi tre anni causando l’arresto della crescita demografica, che negli anni ’30 era stata molto rapida (4.600 ab. l’anno), ed il blocco quasi totale delle realtà industriali più importanti, quale quelle cantieristiche. La parte più colpita dai bombardamenti fu quella a mare, i mandamenti Castellamare e Tribunali nel centro storico, sede delle attrezzature portuali.
Se nel 1939 era stato redatto, tramite pubblico concorso, il nuovo Piano regolatore generale della città e nel 1942 emanata la prima legge urbanistica nazionale (1150/42), l’emergenza della ricostruzione fece accantonare i propositi razionalizzanti dei fenomeni suddetti. Lo strumento d’emergenza fu il Piano di ricostruzione del 1946, i cui effetti si sentirono più nella direzione della nuova edificazione che in quello del recupero dell’esistente. La popolazione del C.S., dopo i massimi storici del dopoguerra ( 136.943 ab. nel 1949), diminuì sensibilmente col passare del tempo a causa di una mancata politica del recupero del tessuto edilizio almeno fino alla soglia del 1980.
Nel secondo dopoguerra riprendeva la crescita demografica, che generò ed acuì una domanda pregressa di vani abitativi. Si accese nuovamente, in una scala maggiore e senza precedenti, il motore delle costruzioni edilizie secondo criteri speculativi piuttosto che d’interesse pubblico e/o generale.
Per creare un contrappeso al mercato immobiliare (in rapida crescita in tutte le maggiori città italiane) e far fronte alla necessità di alloggi, vennero emanate le leggi nazionali n.167/62 e la n. 1179/65, rispettivamente per l’acquisizione di aree e per la costruzione di edilizia economica e popolare. Queste rispondevano all’esigenza di reperire nuovi alloggi residenziali e creare un demanio pubblico per l’offerta di alloggi economici. A Palermo la scelta di localizzare dette aree lontane dal centro consolidato della città, determinò effetti moltiplicatori del mercato immobiliare delle aree intermedie; l’assenza di servizi di quartiere e di trasporto pubblico adeguati (nei cosiddetti quartiere dormitorio), le opere di urbanizzazione primaria, che attraversando le aree intermedie riducevano i costi di costruzione di queste ultime, portarono inevitabilmente alla loro costruzione per riconnettere i servizi della città consolidata alle lontane periferie. Le scelte pubbliche del periodo, che si protraranno fin dopo il 1980, verranno denunciate come “il sacco di Palermo” cioè la svendita del patrimonio paesaggistico della Conca d’Oro agli interessi, di nicchia, del mercato edilizio.
Questo contesto generale è seguito dall’assenza di politiche per il recupero del C.S.
La stessa gente che abitava i quattro mandamenti fu costretta a migrare verso condizioni abitative e ambientali migliori. Dal 1949, in cui gli abitanti dei quattro mandamenti erano 136.943 (massimo storico), si assistette ad un costante flusso migratorio verso altri parti della città che si andavano formando; nel 1951, erano arrivati a 125.294 gli abitanti; nel 1961, 106.838 ab. ; nel 1971, 53.018 ab. ; nel 1981, 38.960 ab.
La popolazione di Palermo nello stesso periodo aumentò di 221.011 unità, passando così da 480.545 nel 1949 a 701.556 nel 1981; l’esodo dal centro storico, nel frattempo, contò 97.983 abitanti. L’offerta di nuove abitazioni di edilizia economica e popolare, aveva lo scopo di adeguare il rapporto stanze/abitante (che passa da 0,57 a 1,25 stanze per abitante in trenta anni) ed offrire alloggi economici, per garantire un’abitazione alle fasce più disagiate della popolazione.
Questa operazione tracciò le nuove linee di espansione della città, in tutte le direzioni a macchia d’olio, vennero costruiti negli anni i vari quartieri ZEN, Borgo Nuovo, Sperone, Bonagia, Falsomiele, etc. decretando interessi privati di periferia nel centro antico.
Furono immesse sul mercato abitazioni per 150.000 abitanti; in questi nuovi quartieri verranno trasferiti in larga misura gli abitanti del centro storico, per motivi di sicurezza pubblica, causa le pessime condizioni statiche di molti edifici lasciata degli eventi bellici, e per motivi igienici e sanitari, dovuti sia al sovraffollamento sia alla scarsa dotazione tecnologica delle reti di sottosuolo e degli stessi immobili.
Un’altra corrente di pensiero, durante gli anni ’60, dibatteva sul valore storico-culturale dei centri antichi delle città italiane, sulla qualità ambientale urbana (dotazione di servizi connessi alla residenza) e su un diverso regime dei suoli urbani. Questo porterà alla codificazione di una nuova proposta di legge urbanistica la legge nazionale n. 765/67 denominata “ponte” per il suo carattere transitorio ed al decreto ministerile n. 1444/68 che stabiliva nuove regole per le densità edilizie il rapporto con gli spazi aperti e la dotazione minima di servizi.
Durante gli anni ’70 la legge nazionale n. 10/77 “Norme per la edificabilità dei suoli”, che riduceva il diritto ad edificare rimandando alla concessione edilizia onerosa (sostitutiva della licenza non onerosa) l’acquisizione di tale diritto, e la legge nazionale n. 457/78 “Norme per l’edilizia residenziale”, che prevede al Titolo IV la possibilità di reperire edilizia ai fini residenziali attraverso interventi di recupero del patrimonio esistente, sancirono la priorità al recupero (d’interesse generale) sulla nuova edificazione (interesse di mercato).
Quello stesso anno, in ritardo di 30 anni, la Regione Sicilia approvò la propria legge urbanistica fondamentale, la legge regionale n. 71/78, adottando in parte le disposizioni della L.U. nazionale n. 1150/42.
A Palermo il cambiamento legislativo fu recepito tramite le varianti al Piano regolatore del 1962, le quali non contrasteranno l’aggressione edilizia, più o meno regolare, della Conca d’Oro (protrattasi fino alla soglia degli anni ’90). La scelta (meglio conferma) di terziarizzare il centro urbano consolidato e di avvolgere il centro storico in queste funzioni ne aggravò inoltre la marginalità e ne incrementò la pressione veicolare di passaggio ai margini; anche la localizzazione di alcune attrezzature di interesse territoriale, non seguita da apposite politiche, non incentiverà un processo policentrico di riqualificazione.
Tutto ciò non comporterà sostanziali cambiamenti di rotta sui problemi connessi al recupero fisico ambientale delle aree degradate della città, fatto strano che tra queste vi fosse anche il centro storico, area centrale, in cui gli interessi di mercato in molte altre città lo rifondano quale centro rappresentativo e culturale, immagine di città.
Carlo Borzelliere
tratto dalla tesi di Laurea in Ptua di Cinzia Bondì e Carlo Borzelliere dal titolo "Contesto sociale, politiche pubbliche e trasformazioni urbane nel mandamento Castellammare: un percorso conoscitivo tra strumentazione tecnica e approccio comunicativo" relatore prof F. Lo Piccolo
Alla fine del XIX secolo si crearono le condizioni per forti migrazioni interne ai sistemi territoriali, da monte a valle, dalle campagne alla città; la popolazione di Palermo passò da197.244 abitanti nel 1861 a 411.692 (di cui 118.673 nei quattro mandamenti), nel 1936, concentrata in larga parte nel centro (tra l’Oreto e piazza Politeama) il resto sparsa nelle numerose borgate della Conca d’Oro.
L’entrata dell’Italia in guerra nel 1940 portò la città a subire violenti bombardamenti per i successivi tre anni causando l’arresto della crescita demografica, che negli anni ’30 era stata molto rapida (4.600 ab. l’anno), ed il blocco quasi totale delle realtà industriali più importanti, quale quelle cantieristiche. La parte più colpita dai bombardamenti fu quella a mare, i mandamenti Castellamare e Tribunali nel centro storico, sede delle attrezzature portuali.
Se nel 1939 era stato redatto, tramite pubblico concorso, il nuovo Piano regolatore generale della città e nel 1942 emanata la prima legge urbanistica nazionale (1150/42), l’emergenza della ricostruzione fece accantonare i propositi razionalizzanti dei fenomeni suddetti. Lo strumento d’emergenza fu il Piano di ricostruzione del 1946, i cui effetti si sentirono più nella direzione della nuova edificazione che in quello del recupero dell’esistente. La popolazione del C.S., dopo i massimi storici del dopoguerra ( 136.943 ab. nel 1949), diminuì sensibilmente col passare del tempo a causa di una mancata politica del recupero del tessuto edilizio almeno fino alla soglia del 1980.
Nel secondo dopoguerra riprendeva la crescita demografica, che generò ed acuì una domanda pregressa di vani abitativi. Si accese nuovamente, in una scala maggiore e senza precedenti, il motore delle costruzioni edilizie secondo criteri speculativi piuttosto che d’interesse pubblico e/o generale.
Per creare un contrappeso al mercato immobiliare (in rapida crescita in tutte le maggiori città italiane) e far fronte alla necessità di alloggi, vennero emanate le leggi nazionali n.167/62 e la n. 1179/65, rispettivamente per l’acquisizione di aree e per la costruzione di edilizia economica e popolare. Queste rispondevano all’esigenza di reperire nuovi alloggi residenziali e creare un demanio pubblico per l’offerta di alloggi economici. A Palermo la scelta di localizzare dette aree lontane dal centro consolidato della città, determinò effetti moltiplicatori del mercato immobiliare delle aree intermedie; l’assenza di servizi di quartiere e di trasporto pubblico adeguati (nei cosiddetti quartiere dormitorio), le opere di urbanizzazione primaria, che attraversando le aree intermedie riducevano i costi di costruzione di queste ultime, portarono inevitabilmente alla loro costruzione per riconnettere i servizi della città consolidata alle lontane periferie. Le scelte pubbliche del periodo, che si protraranno fin dopo il 1980, verranno denunciate come “il sacco di Palermo” cioè la svendita del patrimonio paesaggistico della Conca d’Oro agli interessi, di nicchia, del mercato edilizio.
Questo contesto generale è seguito dall’assenza di politiche per il recupero del C.S.
La stessa gente che abitava i quattro mandamenti fu costretta a migrare verso condizioni abitative e ambientali migliori. Dal 1949, in cui gli abitanti dei quattro mandamenti erano 136.943 (massimo storico), si assistette ad un costante flusso migratorio verso altri parti della città che si andavano formando; nel 1951, erano arrivati a 125.294 gli abitanti; nel 1961, 106.838 ab. ; nel 1971, 53.018 ab. ; nel 1981, 38.960 ab.
La popolazione di Palermo nello stesso periodo aumentò di 221.011 unità, passando così da 480.545 nel 1949 a 701.556 nel 1981; l’esodo dal centro storico, nel frattempo, contò 97.983 abitanti. L’offerta di nuove abitazioni di edilizia economica e popolare, aveva lo scopo di adeguare il rapporto stanze/abitante (che passa da 0,57 a 1,25 stanze per abitante in trenta anni) ed offrire alloggi economici, per garantire un’abitazione alle fasce più disagiate della popolazione.
Questa operazione tracciò le nuove linee di espansione della città, in tutte le direzioni a macchia d’olio, vennero costruiti negli anni i vari quartieri ZEN, Borgo Nuovo, Sperone, Bonagia, Falsomiele, etc. decretando interessi privati di periferia nel centro antico.
Furono immesse sul mercato abitazioni per 150.000 abitanti; in questi nuovi quartieri verranno trasferiti in larga misura gli abitanti del centro storico, per motivi di sicurezza pubblica, causa le pessime condizioni statiche di molti edifici lasciata degli eventi bellici, e per motivi igienici e sanitari, dovuti sia al sovraffollamento sia alla scarsa dotazione tecnologica delle reti di sottosuolo e degli stessi immobili.
Un’altra corrente di pensiero, durante gli anni ’60, dibatteva sul valore storico-culturale dei centri antichi delle città italiane, sulla qualità ambientale urbana (dotazione di servizi connessi alla residenza) e su un diverso regime dei suoli urbani. Questo porterà alla codificazione di una nuova proposta di legge urbanistica la legge nazionale n. 765/67 denominata “ponte” per il suo carattere transitorio ed al decreto ministerile n. 1444/68 che stabiliva nuove regole per le densità edilizie il rapporto con gli spazi aperti e la dotazione minima di servizi.
Durante gli anni ’70 la legge nazionale n. 10/77 “Norme per la edificabilità dei suoli”, che riduceva il diritto ad edificare rimandando alla concessione edilizia onerosa (sostitutiva della licenza non onerosa) l’acquisizione di tale diritto, e la legge nazionale n. 457/78 “Norme per l’edilizia residenziale”, che prevede al Titolo IV la possibilità di reperire edilizia ai fini residenziali attraverso interventi di recupero del patrimonio esistente, sancirono la priorità al recupero (d’interesse generale) sulla nuova edificazione (interesse di mercato).
Quello stesso anno, in ritardo di 30 anni, la Regione Sicilia approvò la propria legge urbanistica fondamentale, la legge regionale n. 71/78, adottando in parte le disposizioni della L.U. nazionale n. 1150/42.
A Palermo il cambiamento legislativo fu recepito tramite le varianti al Piano regolatore del 1962, le quali non contrasteranno l’aggressione edilizia, più o meno regolare, della Conca d’Oro (protrattasi fino alla soglia degli anni ’90). La scelta (meglio conferma) di terziarizzare il centro urbano consolidato e di avvolgere il centro storico in queste funzioni ne aggravò inoltre la marginalità e ne incrementò la pressione veicolare di passaggio ai margini; anche la localizzazione di alcune attrezzature di interesse territoriale, non seguita da apposite politiche, non incentiverà un processo policentrico di riqualificazione.
Tutto ciò non comporterà sostanziali cambiamenti di rotta sui problemi connessi al recupero fisico ambientale delle aree degradate della città, fatto strano che tra queste vi fosse anche il centro storico, area centrale, in cui gli interessi di mercato in molte altre città lo rifondano quale centro rappresentativo e culturale, immagine di città.
Carlo Borzelliere
tratto dalla tesi di Laurea in Ptua di Cinzia Bondì e Carlo Borzelliere dal titolo "Contesto sociale, politiche pubbliche e trasformazioni urbane nel mandamento Castellammare: un percorso conoscitivo tra strumentazione tecnica e approccio comunicativo" relatore prof F. Lo Piccolo
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